bologna e il corpifuoco

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Stare chiusi dalle 22 alle sei per un anno, per un locale serale, un pub, significa fallire: chiudere per sempre.
Ma è quello che succederà, salvo ricorsi al Tar, a più di qualche locale del Pratello, tra cui due in cui ho passato molte serate: Osvaldo e il Barazzo. Tempo passato quasi sempre fuori dal locale, sorseggiando una birra o mangiando un panino, nel rispetto degli altri. Se è un reato l’ho commesso.
I gestori di questi locali, più volte multati per l’omessa vigilanza sui comportamenti per la pubblica quiete ora dovranno chiudere tutte le sere alle dieci per un anno, secondo quanto prevede una notifica del sindaco Cofferati.
Mantenere l’ordine pubblico solo con la repressione mi sembra un fallimento politico civile altrettanto grave.

si comincia dalla banda: festa della zuppa, bologna, 25 aprile 2008. ma prima della banda, e durante, e dopo, c’erano più di 50 zuppe da assaggiare e una zuppa ha vinto il secondo premio della giuria di qualità. Qui c’è qualche immagine in più.

alla cassa!

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Gli ultimi anni vissuti a Bologna abitavo in via san felice, alle spalle del Pratello. Da studente universitario fuori sede avevo una sola certezza in campo alimentare: quando hai fame c’è Ivan il barese. Un pezzo di pizza al pomodoro 1 euro, con la mozzarella 1 e venti; la pizza barese, con le olive, 1 euro e 50. Una (birra) trequarti 1 euro e ottanta.
Se sono sopravvissuto alla fame è anche grazie a Ivan.
Quando ancora lo conoscevo poco una volta mi ci portò l’amico di un amico, ex studente a bologna, leccese come me e da poco trasferito a londra: invece di entrare si arrampicò alla saracinesca del retrobottega e cominciò a cantare "Bari merda!" a squarciagola. E poi abbracci infarinati.
Di calcio si parlava poco: business is business, e per fortuna, ma in quel laboratorio artigianale ci sarò passato quasi tutti i giorni per almeno tre anni. Prima di cena o prima di andare a dormire, a notte fonda.
Gli ultimi anni, da quando a bologna non ci sto più, ci sono sempre passato ogni volta che sono tornato al pratello: un pezzo di pizza non ha mai fatto male, anzi.
Ma ogni volta c’era qualcosa in meno: prima niente birre dopo le nove, poi niente sgabelli e ora leggo da Aeiouy sullo Spettro della bolognesità che presto il barese potrebbe chiudere del tutto e lasciare posto a un kebabbaro. E immagino che per qualcuno non faccia tanta differenza, siamo tutti uguali, tutti maruchein.

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tre giorni pieni di sensazioni, tra roma e bologna. tanto da raccontare, da Marlow a Città del Capo, vorrei farvi vedere (e sentire) un po’ di cose, appena c’è un po’ di tempo, fra poco.

Si sta bene, si sta male

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A Bologna si sta come si sta.  E forse non ci volevano due anni e mezzo per capirlo, sarebbe bastato guardare le cose (e le persone) da un’altra prospettiva. E così ho fatto, forse più che altro per una serie di coincidenze.
Quelle che si dicono coincidenze fortunate, perché a prezzo di qualche rinuncia, ho finalmente trovato un’altra città, quella che ancora mi mancava. E qui non parlo di Cofferati o del degrado, parlo di me e di una città in cui c’è spazio non solo per studenti (nullafacenti o superimpegnati), ma anche per lavoratori (nullafacenti o superimpegnati). È solo un’impressione, per ora, ma è bastata per farmi tornare a casa  riconciliato con la mia città (adottiva).

da pellegrino a turista

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Uno crede di darsi una meta, ma in realtà sono gli stimoli che ti fanno andare avanti (e spesso ti fanno correre). Forse su questo ha ragione Zigmut Bauman, si è completata la trasformazione post-moderno.
E così, passato l’esame, tornato a lavoro, superata l’ansia per Mastrogiacomo, che è tornato in redazione, il tutto con un solo giorno di pausa, stasera prendo un altro treno (e se fosse fra una settimana direi questo pomeriggio, ché l’ora legale sta per rubarci un’ora di sonno, come se già non ne avessimo troppe da recuperare, che poi uno la mattina si sveglia di botto e nemmeno si ricorda cosa ha sognato, ma gli resta una traccia flebile di una vita a occhi chiusi).
Dicevo, prendo un treno e vado a Bologna: quando torno ve la racconto.

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