è tornata la mia vespa
la vedo nera…
La casa dei consoli sembra a tratti una caserma. Il che non guasterebbe allo statuto consolare senonché la vita militare a me non è mai piaciuta. But that’s not what I mean. Altrove Ben racconta la sua; ecco la mia versione. La sera torno tardi a casa e i tre consoli residui sono già a dormire. Residui nel senso di ciò che rimane di loro dopo una giornata di lavoro.
(In questa storia il soggetto non conta. Ogni sera uno dei quattro torna più tardi e trova gli altri che dormono; se è particolarmente stronzo ne sveglia qualcuno. A volte l’hanno lasciato fuori di casa tirando il chiavistello, e allora fa bene a suonare, ma di solito no, meglio non svegliare i compagni consoli).
La mattina l’aria da caserma è proprio quella, un po’ rafferma. Si va dal pinocchietto alle mutande, passando per i calzoncini; dalla canottiera alla T-shirt; latte, caffé, biscotti e sigaretta. Spesso il primo che si alza non vede nessuno; a volte è lo stesso che la sera è tornato tardi, quindi sono due giorni che non vede nessuno.
Bella la vita nella casa consolare.
Pausa pranzo via allo shopping, su via del corso, as well. E con l’acquisto di oggi inizia una nuova epoca per ilTot. Basta con la ricerca del più bel calzino a righe;
questo è l’anno del boxer…
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio…
Piove, il cielo è scuro che sembra notte, e vengono giù dei fulmini niente male.
Chi può è andato a pranzo in taxi, al ristorante. Così l’open space è vuoto, solo un televisore acceso per nessuno.
E ci sono io.
p.s. il giornale non è uscito per uno sciopero; neanche il gusto di leggere le mie due brevi.
dove sarà quella ragazza dal viso dolce e i capelli chiari che cantava tutte le canzoni, by heart; e saltava, e rideva.
Persa con le sue amiche in un’altra notte di fine estate, mentre francesco de gregori cantava come non l’ho mai sentito, ma parlava come al solito: poco e niente.
se un giorno tornerai da queste parti,
riportami i miei occhi e il tuo fucile…
Il cravattaro chiama poco prima dell’una. fra un’ora sono da voi; voglio i soldi.
I soldi, più di 1500 euro. Un’operazione difficile per il triumvirato. Si prepara l’agguato. Una parte del maloppo è nascosta dal Regime, ma il Ben scappa: non ha alcuna voglia di incontrare il cravattaro. Il Dome e il sottoscritto rimangono per affrontarlo.
Lui si presenta alle tre. Lui e la sua Pupa. Con la faccia di uno sgherro, ritira il denaro, lo fa contare a me, al Dome, poi alla pupa e infine lo conta anche lui. Lo avvolge in un elastico e lo butta sul frigo. Poi rovista nel frigo, tira fuori prosciutto e melone, si siede in cucina e inizia a mangiare. A sbafo. Quando esco, sbattendo la porta e ancora lì seduto che parla con la Pupa. Chissà cosa avrà fatto poi…
Tre uomini (e una donna) seduti attorno a un tavolo davanti al porto. Poca gente attorno: il barista, qualche pescatore e tante zanzare.
Poche parole tra un sorso di rum e un’oliva "nostrana".
Parlano i volti, e gli sguardi. I segni dell’età, quelli della stanchezza e della voglia. Non c’è bisogno di chiedere. E non importa quanto durerà né quando sarà la prossima volta.
O forse basterebbe rimettersi in barca e partire. Senza curarsi troppo di tutto il resto.
Poi tutti di nuovo sulla strada. Ognuno per la sua strada.
Non significa niente di speciale. Forse solo la fine di un’altra estate, più breve del solito.
Ci sono oggetti che segnano un’epoca, altri che segnano una vita. Come la maglietta a righe rosse e blu, sempre quella, per dieci lunghi anni.
Non c’è più, se non nei ricordi, in qualche foto e in un ritratto di gruppo che poi era una caricatura.
Non c’è nemmeno un’immagie di repertorio sottomano. Arriverà.